SAN LAZZARO

 

 ( Da : M. Giuliani, Saggi di Storia Lunigianese, Pontremoli, 1982. )

Nel tratto tra Pontremoli e il sobborgo della S.S. Annunziata sorge una piccola chiesa detta di S. Lazzaro: è una nuda costruzione in arenaria ed essendo nascosta nel fianco del monte passa quasi inosservata, anche perché sembra moderna per un rimaneggiamento della facciata; ma essa è di origine molto antica, ed è importante non solo come esemplare architettonico di un tempo lontano, ma anche perché è memoria di usi stradali del passato. Questa chiesa, infatti, proprio per conforto ai viandanti quando le strade di montagna erano faticosamente percorribili, era sorta su un crocicchio vicino a un guado, tra rocce e acque.

Il nome di San Lazzaro ha una derivazione popolare ed è ricordo di istituzioni di difesa sanitaria e assistenza ai malati, ma prima ancora era dedicata a San Martino, protettore dei pellegrini che viaggiavano per gli ardui cammini dei monti.

Il nome di San Lazzaro le fu trasmesso da un vicino leprosario, una domus Sancti Lazzari, un’istituzione del Comune di Pontremoli che aveva fondato per accogliere e assistere i malati di lebbra, come tante altre diffuse nei primi secoli dopo il Mille al tempo dei pellegrinaggi in Terra Santa. 

Oratorio di San Lazzaro

Alcuni documenti concernenti l’ispezione della chiesetta e del vicino Lazzaretto, eseguita il 12 maggio 1584 dal visitatore apostolico della Diocesi di Luni, danno prova che tra la chiesa e la domus, non vi era alcun legame perché la prima era sotto la pieve di Urceola Saliceto con beni propri, mentre la seconda era un’istituzione laica e comunale, simplex domus privata.

Il luogo chiamato S. Lazzaro in antichità era conosciuto come il Groppo della Tavernella, Groppus tavernellae ovvero de tabernula. "Groppo" in dialetto significa grande sperone roccioso e tavernella significa capanna, mansione o ricovero.

La via che attraversava il groppo era in origine una delle prime tracce sulle quali si svolse poi la Romea di Monte Bardone e la costa del monte, per agevolare il cammino, fu pian piano spianata. Il groppo era anche un capo del guado della Magra e sulla riva destra l'altro capo del guado, vicino alla confluenza col Gordana, era la salita di Groppo Montone a cui si collegavano la via di Invico e la via del Borgallo.

A non molta distanza dal Groppo della Tabernula sorgeva, nell'altro lato della Magra, un’altra chiesetta con ospizio intitolato a San Cristoforo. La costruzione di un ponte nel I secolo dopo il Mille trasformò gli assetti popolari di questi territori e il nodo stradale si spostò dal guado al ponte, che prese il nome dal vicino castrum della curia di Saliceto nei pressi della pieve dei Santi Ippolito e Cassiano, che a sua volta assorbì lo stesso nome.

Nella seconda metà del XV secolo sorse la chiesa della S.S Annunziata con l’annesso convento degli Agostiniani riformati di Lombardia e in seguito al crescente traffico della via Romea o Francesca si formò il borgo omonimo dando luogo a un piccolo centro economico più moderno rispetto all’antico assistenziale della Tavernella, per cui la stazione del Groppo perse la sua importanza.

Si suppone che le fondazioni della Tavernella e della chiesetta fossero originariamente dovute alla generosità di un pio e potente benefattore perché entrambe possedevano i loro beni nel territorio del monte dove sorgevano.

L’istituto della taberna con il passare dei secoli e con la nascita del Comune fu assorbito in altri sistemi di assistenza e, cessato il pericolo della lebbra, le sue rendite furono destinate ad altro uso. Allo stesso modo, San Martino, che in principio era preposta all’assistenza religiosa ai viandanti ed era poi divenuta l’oratorio dei malati della vicina casa di San Lazzaro, fu infine destinata a sepoltura dei giustiziati.

Quando il Vescovo di Sarsina, alla fine del '500 ordinò le opere di restauro della chiesetta per farla sembrare meno rude, fortunatamente furono nascoste ma non distrutte le forme originarie; in tempi a noi vicini, toccò invece una mutilazione ben più grave ed irrimediabile; ciò avvenne nel 1878 in occasione di uno di quei tanti allargamenti della strada che avevano richiesto tagli del poggio e spianamenti della roccia, per cui la primitiva via divenne una vera "via strata": per fare spazio alla strada, la chiesetta fu scorciata di un metro.

La facciata, per fortuna, fu accuratamente smontata e ricostruita con lo stesso disegno e con gli stessi materiali rifatti assai fedelmente dagli esperti scalpellini locali.

La piccola chiesa risulta dunque di forma basilicale, a una navata sola, con abside semicircolare, liturgicamente orientata, di quel tipo di costruzione romanico pre-lombardo che si ritrovava spesso nella Val di Magra, come nelle semplici pievi più antiche e in altre chiesette attinenti ai tracciati delle antiche comunicazioni tagliate fuori dalla nuova viabilità, rimaste abbandonate o ridotte a cimiteri di piccoli villaggi.

I particolari architettonici della chiesa di S. Martino sono simili a quelli di S. Giorgio di Filattiera.

Era molto piccola; le mura esterne sono rivestite di piccoli conci di arenaria accuratamente squadrati e ancora ben connessi malgrado l’azione corrosiva del tempo. Queste pareti non avevano finestre, ma in quella a nord era stata costruita una piccola porta con semplice vano rettangolare all'esterno, mentre all’interno, l‘apertura più grande era formata da un sottile architrave di pietra leggermente curvo, con sovrapposto un arco di scarico, costruito con pietre di varia sagoma, con intenzioni decorative.

Le pareti terminano in alto con cornici rettangolari in listelli di pietra, sotto la breve gronda del tetto, coperto con "piagne" (caratteristiche lastre in arenaria scura). La facciata fu abbassata per accomodarla al livello della strada e probabilmente rialzata al di sopra del tetto. L’antica chiesetta era probabilmente coperta dal tetto a capanna fino sulla facciata.

La porta centrale, rifatta a imitazione del tipo di porta romanica ad arco tondo, simile alle due porte di S. Giorgio, è stata portata ad una regolarità che non è propria del modello. I pezzi superstiti del materiale della vecchia costruzione sono la maggior parte della bifora centrale e le lastre traforate degli occhi o finestrelle tonde, probabilmente spostate dopo i rifacimenti. Un’ipotesi assai probabile è che originariamente non vi fossero nella facciata aperture, come anche nella chiesa di S. Giorgio di Filattiera. Degli occhi sono state rifatte le aperture circolari esterne; sono invece originali le due lastre quadrate, traforate, fermate dalla parte interna; queste lastre rappresentano l’una una croce e l’altra un fiore di quattro foglie, ambedue intrecciate ad un cerchio.

La corta navata era coperta da un tetto a capriata e oggi da una volta a botte; l'abside è coperta da un tetto di lastre d'arenaria ed è la parte meglio conservata: il lato esterno è rivestito di bozze ben squadrate e spianate; sulle curve laterali, benché essa sia quasi incastrata nel monte, si aprono due finestrelle a feritoia e all'interno è rivestita da grandi pietre ben lavorate.

Piccola era questa chiesetta, quindi per frequentatori di passaggio, come un tabernacolo destinato a proteggere un rifugio.

Se si possono accostare i suoi caratteri stilistici, anche se più rozzi, con quelli di S. Giorgio di Filattiera, si può azzardare l'ipotesi che abbia avuto lo stesso fondatore che istituì anche l'ospedaletto di S. Benedetto di Montelungo: forse quel pio personaggio ricordato nella mutila iscrizione marmorea del suo sepolcro, che U. Mazzini ha voluto riconoscere nel vescovo Leodegar; comunque, l'antico oratorio ci aiuta a capire la storia di alcune comunicazioni appenniniche settentrionali.

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