Via Del Borgallo

(Da: " Saggi di storia Lunigianese," Manfredo Giuliani, Pontremoli 1982.)

L' antica via del Borgallo, tra l'alto Taro e le valli occidentali della Magra, divenuta, prima, via di mercanti di bestiame, poi sentiero di pastori, ha avuto nel lontano passato un ruolo più importante, infatti nel tratto più largo del massiccio appenninico tra il Po e il golfo della Spezia le comunicazioni tra NO e SE cadono in questa direzione e quello del Borgallo è uno dei quattro passi dell'arco della catena tra il Gottero e il Molinatico. La vecchia strada saliva al passo dal Taro, per la valle del Tarodine, toccava la Valdena e dopo il valico scendeva nella valle del Verde per Navola e proseguiva sulla riva sinistra del torrente che varcava nei pressi della confluenza con la Verdesina per continuare sulla riva destra verso il Bagno sino a sboccare nel piano di Verdeno.

Molte pievi sorgevano sulla via del Borgallo, alcune delle quali sono ridotte a povere chiese rurali ed altre sono invece scomparse.

Possiamo ricordare la pieve di Bedonia, quelle di Campi e di S. Giorgio, la pieve di Vignola e quelle più lontane di Urseola – Saliceto e di Vico (anche chiamata di Vigo o di Castevoli ) .

La via del Borgallo, una volta percorsa la valle del Verde, proseguiva, per la valle della Gordana, nel territorio della pieve dei S.S. Ippolito e Cassiano di Urceola, dopodiché la strada continuava, per la pieve di Vico, dopo aver attraversato il territorio della Pieve di Surano. Da Vigo si poteva scendere verso le marine per i monti o guadare la Magra a Groppofosco per continuare verso la pianura lunense o verso la Garfagnana e Lucca e oltre.

Ma era possibile oltrepassare la Magra anche più a monte presso la foce del fiume Gordana, ad un guado che toccava la sponda sinistra del fiume in località "Groppo della Tavernella " ora San Lazzaro di Pontremoli , dove era stata costruita una chiesetta, ancora oggi presente, già intitolata a S. Martino.

Questa via si presentò come alternativa della via Romea di Monte Bardone, chiamata anche via Francigena o della Cisa, tanto che in uno dei suoi tratti, che attraversava il territorio di Mulazzo, ha conservato fino ai nostri tempi, la denominazione di Francesca.

Il comune di Pontremoli doveva tenere aperta la via del Borgallo per le soldatesche di passaggio che si volevano allontanare dal borgo.

Il valico del Borgallo era compreso nel territorio della pieve di S. Pancrazio di Vignola che sorge sugli ultimi colli del montuoso fianco destro della valle del Verde.

La giurisdizione plebana si estendeva oltre che sulla valle del Verde su quelle del Magriola, della Gotra e del Tarodine ed erano confini che ricalcavano quelli di circoscrizioni più remote .

Il pago dove sorse la pieve di S. Pancrazio doveva avere i caratteri di un complesso di selve, boschi e pasture ed i toponimi attinenti a valle, a monte, a selva si riferiscono a caratteri giuridici. Né il feudalesimo alterò questo stato di cose: vicino alla pieve ci sono i resti di un castello, forse il castrum di Belvedere.

I motivi del profondo sconvolgimento degli ordinamenti antichi del territorio vanno cercati nei turbinosi avvenimenti del periodo comunale che hanno accelerato il processo della trasformazione della demografia locale, proceduto dalla fine dell’età antica e continuato sino allo scorcio del medioevo.

Con la scomparsa di Velleia anche la Val di Magra risentì del cambiamento degli assetti territoriali, che rispetto ai centri cittadini si orientarono nel senso longitudinale delle valli. Vide così mutare anche l'andamento delle comunicazioni da ponente a levante, che si unificarono sul fondo valle.

Queste trasformazioni territoriali furono la conseguenza della battaglia antifeudale che voleva la liberazione del territorio.

Il prevalere dell’attività della via di Montebardone per la Cisa ed il conseguente crescere dell’importanza militare e politica di Pontremoli avevano determinato lo spostamento al facile varco del Bratello.

Da Pontremoli si poteva andare a Grondola e di qui procedere per il Bratello, ovvero continuare per il Giogallo e la Pelata o anche scendere a Succisa per Montelungo e raggiungere, dall’una o dall’altra parte, il passo della Cisa.

Per i Malaspina Grondola era un caposaldo della difesa contro l'espansione dei Comuni e uno strumento di dominio dei valichi appenninici. Essa era un’ampia fortezza che si allargava dal Verde verso la Magra, dominando non solo i valichi e le vie del Verde, ma anche il valico e la via di Montebardone.

Nel 1195 fu venduta dai Malaspina ai piacentini.

Era una vasta circoscrizione che includeva tutte le valli del Verde e della Magriola dominando i valichi e le vie del Borgallo e del Bratello, e le vie e il passo della Cisa con Montelungo e, più a oriente, con Gravagna.

Nel XIII sec. risulta decisa e vigorosa l’azione di Piacenza che non solo occupò la parte alta della valle del Taro, ma si impadronì di Grondola.

I Piacentini dovevano liberare il territorio appenninico sottraendolo alle signorie feudali per aprirsi la via al mare.

Alla battaglia antifeudale giovava l’alleanza con i Pontremolesi per circondare Grondola che dava ai Malaspina il dominio dei valichi appenninici; anche i Pontremolesi avevano interesse a questa alleanza contro i nemici feudali che volevano isolare il suo territorio.

Il raccogliersi e fortificarsi dei Malaspina tra i monti della Lunigiana, aveva creato un pericolo mortale per il piccolo Comune pontremolese.

Con i Malaspina si era appunto presentata minacciosa e stringente la controffensiva della restaurazione feudale e Pontremoli era entrato nell'orbita delle città lombarde, ma la caduta di Grondola in mano ai piacentini cambiò i rapporti tra Piacenza e Pontremoli; crollata la potenza malaspiniana sull’alto Appennino settentrionale, la politica dei piacentini doveva necessariamente prendere un diverso indirizzo: Pontremoli non era che un piccolo centro nell’alta Val di Magra ormai inutile per l’espansione del comune piacentino: i Malaspina non erano i più pericolosi nell’Appennino ma anzi, come signori ancora potenti nel resto della Val di Magra assicuravano alla città padana la via al golfo lunense a Luni e a Lucca. Inoltre, Piacenza volle assicurarsi il pieno dominio del traffico appenninico, intercettandolo ai rivali parmigiani.

Allontanati i Malaspina, fu appunto questa la rivalità tra Piacenza e Parma per il dominio dei valichi: il traffico delle vie appenniniche veniva convogliato per la strada di Montebardone Cisa, se predominava Parma o per la strada del Borgallo o Bratello se prevaleva Piacenza.

Quest'ultima era diventata aperta nemica di Pontremoli. Il Comune, sebbene di antica tradizione guelfa, si indusse a cercare la protezione di Federico II che accolse volentieri la domanda per farsi amica una terra fortificata in una posizione militarmente importante, e nel farlo ne confermò ed ampliò gli antichi privilegi. Ma quando, nel 1241, i pontremolesi di sorpresa, si impadronirono di Grondola dovettero pagar cara la loro audacia, perché, in seguito alle proteste dei parmigiani, l’Imperatore ordinò, per castigo, la distruzione delle porte e delle torri del loro stesso borgo.

Furono più fortunati però i loro avversari che quattro anni più tardi ebbero in dono il castello di Grondola e l’ampio distretto.

Malgrado ciò, i pontremolesi si mantennero fedeli all'imperatore anche quando Parma e alcuni Malaspina gli si voltarono contro. Avendo essi prestato al re Enzo il loro aiuto per l’espugnazione di Berceto, sperarono col suo consenso non solo di aver modo di ricostruire le porte e le torri abbattute della loro terra, ma anche, di riprendere Grondola e di averla in sicuro possesso: vana però fu quest’ultima speranza.

Scomparso Federico i suoi successori, cadute le fortune dalla parte ghibellina, Pontremoli era tornato ad avvicinarsi alle città guelfe.

Verso l’ultimo quarto del secolo, i due Comuni (Parma – Pontremoli) dimenticate le precedenti inimicizie giunsero ad alcune intese che si conclusero con un ’alleanza.

Nel conseguente trattato (1271) si stabilì che la strada per Pisa Lucca Parma riprenda l'itinerario attraverso Montebardone e Pontremoli.

I Parmigiani e i Pontremolesi ricostruirono il castello di Grondola e due anni dopo innalzarono una torre.
 
 
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